Nella storia dell’automobile spesso ci si imbatte in vetture che, arrivando dopo un mito, vengono ingiustamente snobbate, nonostante indubbie qualità e molte frecce al proprio arco.
Questo è il caso delle Aston Martin DBS e V8, nate dopo la più iconica delle Bond Car, l’Aston Martin DB5, e mai dotate dello stesso appeal. Eppure, data l’importanza storica di tali vetture riteniamo doveroso parlarne e approfondire i 23 anni di storia di un progetto che, nelle sue componenti meccaniche è sopravvissuto fino al terzo millennio,
Il contesto
Il nobile marchio Aston Martin arriva alla fine degli anni ’60 con la necessità impellente di un rinnovamento, sia a livello di immagine che di prodotto. Il marchio è proprietà di David Brown, noto industriale inglese che lo ha rilevato nel 1947 per 20.500 sterline portando in dote l’iconico prefisso DB come identificativo dei modelli.
Dopo i successi e i fasti, anche cinematografici, della stupenda DB5 e della DB6, sua naturale evoluzione, le vendite sono in costante calo e il pubblico richiede una nuova vettura. Questa deve essere più comoda e performante: un vero rinnovamento per affrontare gli anni ’70.
La nascita della DBS: una rivoluzione riuscita a metà
L’imprenditore inglese per prima cosa commissiona un nuovo motore v8 a Tarek Madek, papà del già famoso 6 cilindri in linea della DB6. In contemporanea l’ingegner Harold Beach sviluppa un nuovo telaio, ponendo come obiettivi una maggiore comodità e ariosità per i passeggeri. Ovviamente questa piattaforma dovrà essere in grado di alloggiare il nuovo 8 cilindri in via di sviluppo.
Nascono così due proposte di stile in collaborazione con la carrozzeria Touring di Milano. Nonostante l’atelier abbia già dato i natali alle precendenti DB, i prototipi ottengono solo delle reazioni tiepide dal pubblico. Il feedback negativo sulla DBSC, nome dato ad uno dei due prototipi, unito alle precarie condizioni economiche della carrozzeria italiana, porta la casa ad optare per una soluzione interna e così il design della nuova vettura viene affidato a William Towns.
Nasce cosi la DBS (acronimo di David Brown Sports), svelata nel 1967. Le linee sono da fastback secondo la moda del periodo. L’auto si caratterizza per la griglia cromata anteriore contenente i quattro gruppi ottici e per linea molto simile, per concetto, a quella della coeva Fiat Dino.
Con i suoi 459cm per 1588kg la DBS si presenta più come una Gran Turismo che come una sportiva pura e studiandola da vicino si nota come sia stata pensata per piacere anche oltreoceano. La conferma giunge dalla dotazione di accessori da prima della classe: 4 freni a disco, servosterzo, retrotreno con ponte De Dion e avantreno con sospensioni indipendenti, interni in pelle Connolly e radica.
I problemi nascono dal ritardo di progettazione del nuovo propulsore v8, che costringono Aston Martin ad utilizzare il tradizionale 6 in linea di 3996cm³ proveniente dalla DB6, aggiornato per sviluppare la pur ragguardevole potenza di 282cv. I 227km/h di velocità massima della vettura però rappresentano un valore insufficiente, se confrontato con le concorrenti.
Nasce così la DBS Vantage, con tre carburatori Weber DCOE9 in luogo degli originali SU HD8, rapporto di compressione aumentato e comparto freni/sospensioni adeguati alle maggiori prestazioni: 325cv per 258km/h di velocità massima.
Purtroppo, così “estremizzato”, il propulsore perde quelle caratteristiche di fluidità che lo hanno sempre posto come riferimento della categoria. Si aggiunga che il prezzo di vendita si pone sopra addirittura alla Lamborghini Miura, capace di ben altre prestazioni. Per accontentare il pubblico americano si adotta anche un cambio automatico a 3 velocità di provenienza Chrysler, affiancato al tradizionale manuale ZF a 5 rapporti.
Contemporaneamente prosegue lo sviluppo del v8 (iniziato nel 1963). Dotato di varie parti in alluminio, viene utilizzato in anteprima alla 24h di Le Mans del 1967.
Viene montato su due Lola T70 gestite dal team di John Surteees (ricordate l’asta Guikas del 19/11/2021? ). Le due vetture alzano bandiera bianca proprio per problemi al propulsore ma questo “stress test” porta a rivisitare le parti critiche del propulsore rendendolo così più affidabile per l’uso commerciale.
La gestazione del v8 termina nel gennaio 1970: nasce la DBS V8, che si posiziona in gamma subito sopra la DBS Vantage. Il V8 ha una cilindrata di 5,3 litri, iniezione meccanica Bosch e 325cv che portano la vettura, pesante ben 1727kg, a raggiungere i 259km/h. L’estetica vede solo piccole variazioni, come la scritta “V8” posta sulla carrozzeria ad identificare il modello e il diverso posizionamento dello sfogo per l’aria dell’abitacolo. Desta scalpore la scomparsa dei tradizionali cerchi a raggi, sostituiti da più moderni cerchi in lega con attacco a 5 dadi.
La sensazione è che ormai si sia fuori tempo massimo e il marchio entra in crisi venendo ceduto alla “Investor Company Developments”. Si evadono così gli ordini pre-esistenti, consegnando le ultime 23 DBS e 32 DBS V8. Finisce così, dopo appena 829 esemplari, una storia breve e carica di rimpianti.
La DBS diviene comunque famosa sui mass media come l’auto di Roger Moore in “Attenti a quei due” e, soprattutto, affiancando George Lazenby nella sua unica interpretazione di James Bond, ovvero “007- Al servizio segreto di sua maestà”. Avrà anche un piccolo cameo in “007- Una cascata di diamanti” dove si mostrerà nella sezione “Q” ma non verrà utilizzata da Sean Connery, nel frattempo tornato a vestire i panni dell’agente segreto.
Aston Martin V8: una DBS 2.0?
Appena insediata, la nuova dirigenza riparte da ciò che di buono ha a disposizione e incarica William Towns di aggiornare la linea della DBS per ottenere un nuovo modello. Nell’aprile del 1972 debutta quindi la “nuova” V8, abbandonando la precedente sigla DB.
Le modifiche principali si notano nella parte anteriore che abbandona i quattro fari della DBS e la griglia cromata, da molti ritenuta eccessivamente grande. Si opta perciò per un frontale con soli due fari di diametro maggiore e una griglia ispirata a quella della precedente DB4. La coda rimane invariata nonostante Towns avesse a tal proposito delle idee precise, ritenute troppo dispendiose, dalla dirigenza.
Meccanicamente la vettura riparte dalla DBS V8 (che comunemente i puristi chiamano V8 Serie I per distinguerla da questa seconda versione). All’interno non vi sono modifiche sostanziali ad esclusione di una migliore insonorizzazione. L’avvento di questa V8 serie II segna l’addio al glorioso 6 cilindri Aston Martin, mentre si manifestano problemi di alimentazione proprio sul v8 che soffre l’iniezione meccanica Bosch ereditata dal modello precedente.
L’agosto 1973 vede la nascita della V8 serie III, caratterizzata da una batteria di carburatori doppio corpo Weber 42 DCNF. Questi sostituiscono l’impianto di iniezione meccanica Bosch (perdendo 11cv) riducendo la potenza massima a 314cv. Un prezzo tutto sommato modesto da pagare in cambio della tanto agognata omologazione per i cicli antinquinamento USA.
Così configurata la V8 completa lo 0 – 100 Km/h in 6,1 sec. con cambio automatico ( 5,7 sec. col manuale) risultando allo stesso tempo più fluida e piacevole da guidare. Esteticamente si nota la maggiorazione della presa d’aria sul cofano, necessaria per “sfamare” i carburatori, e per il riposizionamento della griglia di sfogo dell’aria dell’abitacolo.
In compenso la crisi petrolifera colpisce duro e con l’inasprimento delle leggi americane nel 1976 la potenza viene, in un primo momento, ridotta a 292cv. Ritornerà ai più “rassicuranti” 309cv garantiti nel 1977 dal motore Stage 1, rivisto negli alberi a camme e nel sistema di scarico.
Le vendite sono soddisfacenti, contando quasi un migliaio di esemplari in sei anni, ma nonostante tutto il marchio entra nuovamente in crisi. Nel 1975 Aston Martin passa di mano ad un consorzio canadese che non riesce comunque a evitare il blocco delle linee di produzione per l’intero anno.
Con la V8 Volante verso il canto del cigno
La nuova gestione vara la serie IV nell’ottobre 1978, indicata come “Oscar India” (OI) dagli addetti ai lavori, dalle iniziali di “October Introduced”. Questa porta in dote un v8 riprogettato, al fine di offrire consumi ridotti del 10% e più coppia a parità di potenza. Allo stesso tempo il cofano perde la presa d’aria centrale e la sostituisce con un rigonfiamento nella zona dei carburatori.
Ma la vera star ha il tetto scoperto e si chiama V8 Volante, la versione cabriolet della v8. Caratterizzata da 70kg in più di peso dovuti all’irrigidimento della scocca, viene ridisegnata da Harold Beach nella parte posteriore, ottenendo una linea di cintura più alta rispetto alla versione chiusa. La capote, costruita in un simil-vinile chiamato Everflex, viene ingegnerizzata da George Mosely, già responsabile del progetto della Rolls Royce Corniche Convertible.
La V8 Volante, costruita con la collaborazione della carrozzeria Woodal Nicholson di Halifax, fa subito la parte del leone a livello di vendite. I dati parlano chiaro e vedono la cabriolet battere la coupè 656 a 352 esemplari consegnati.
Nel gennaio 1986, più precisamente al salone di New York, debutta la V8 serie V, detta EFI. La denominazione deriva, non a caso, dall’adozione dell’iniezione elettronica Weber-Marelli (Electronic Fuel Injection) che equipaggia adesso il poderoso v8 facendo sparire la “gobba” sul cofano, non più necessaria.
I paraurti “americani”, già introdotti oltreoceano con la serie IV, vengono estesi a tutta la gamma, unificando così le versioni per i vari continenti. A livello estetico si nota inoltre l’aggiunta di un piccolo spoiler al posteriore.
Dopo poco più di 4000 esemplari, nell’ottobre 1989 la V8 esce di scena . Da “Lady” di gran classe qual è, se ne va con un colpo di coda finale riproponendosi nel ruolo di “Bond car” in “007-Zona Pericolo” (1987).
La v8 è un esemplare della IV serie e viene equipaggiata di tutto punto dalla sezione Q. Al fianco di un glaciale Timothy Dalton, si dimostra all’altezza della missione compiendo gesta incredibili grazie alle speciali dotazioni del caso.
Serie Speciali “Principesche”
Nel corso della sua lunga carriera la V8 viene affiancata molto presto, per l’esattezza nel 1977 da una versione ad alte prestazioni. La V8 Vantage presenta carburazione rivista e testata riprogettata e sviluppa in origine ben 380cv. Nel corso degli anni arriverà sino a 432cv per una velocità massima di 275km/h, rappresentando la massima evoluzione del modello.
Questo surplus di potenza porta ad adottare un cambio manuale ZF a 5 rapporti e un assetto ribassato con ammortizzatori KONI. Dal punto di vista estetico la Vantage denota una griglia anteriore con due luci ausiliarie incassate, spoiler anteriore e posteriore, cofano chiuso e passaruota allargati. Tutti questi accorgimenti portano ad ottenere un cx migliorato del 10%.
La Vantage avrà anche una declinazione nella versione Volante, con 400cv e tutte le migliorie del caso. Da questa base nascerà la serie speciale, costruita in soli 20 esemplari, denominata “Principe di Galles” e derivata dalla vettura voluta giustappunto dal neo Re Carlo d’Inghilterra, da sempre fan del marchio britannico.
Sottovalutata ma indispensabile
Nonostante la lunga carriera, la V8 viene spesso esclusa dalla memoria collettiva in quanto nata nel periodo più difficile per la casa inglese e per il mercato delle vetture ad alte prestazioni. Le è mancato poi il traino dei film “giusti” venendo associata agli 007 più controversi della storia o ottenendo giusto delle piccole comparsate in serie di culto quali Miami Vice.
E’ indubbio però che si tratti di una vettura che ha traghettato Aston Martin dai fasti della DB5 alle porte del terzo millennio. Mentre la carriera della V8 è terminata nel 1989, la sua meccanica è stata quasi del tutto ripresa dalla successiva Virage ed è arrivata, con gli aggiornamenti del caso, a varcare le porte del terzo millennio, quando la nuova proprietà Ford ha ritenuto di rinnovare il pacchetto tecnico.
La sua apparizione nell’ultimo “007-No time to die” la riporta adesso sotto i riflettori, dandole forse quella meritata ribalta che la sorte non le ha concesso. Inoltre le aste iniziano a segnalare valori in rialzo, come nel caso della V8 Vantage Volante ex-David Beckham finita sotto i riflettori qualche anno fa. Che sia l’inizio di una dovuta riscoperta?
Nato in una notte del dicembre 1985 e fiorentino doc a tutti gli effetti, sin da piccolino si vedeva la mia forte passione per l’automobile, testimoniata dal fatto che prima ancora di parlare fluentemente deliziavo i miei genitori con i nomi delle auto viste e riconosciute sulle riviste del periodo! Ho vissuto un’infanzia felice scorrazzando con la Citroen 2CV 6 Special rossa di mia madre e l’amatissima Ford Escort SW del 1994, auto di mio padre e da me fortemente desiderata al punto da sceglierne il colore!
Nel corso degli anni sono stato tra i fondatori del Knight Rider Italia, fan club italiano della serie Supercar e sono divenuto assiduo frequentatore della 24h di Le Mans con una gang di amici impareggiabili. Sono anche motociclista da più di dieci anni, vi aspetto per un panino insieme sui passi dell’Appennino Tosco-Emiliano!