
La tecnica e la tecnologia evolvono nel tempo seguendo spesso percorsi non lineari. Certe innovazioni compaiono e affossano immediatamente le vecchie tecnologie. Altre componenti invece resistono nel tempo. Tradizioni a volte anacronistiche che si tramandano di generazione in generazione.
Qualche settimana fa, percorrendo una strada in una zona industriale della nostra città, ci siamo imbattuti in una visione particolare e sorprendente. Un Land Rover Defender. Non un Defender qualunque, ma una Heritage Final Edition.
Ci siamo fermati, abbiamo fotografato e abbiamo avuto la netta sensazione di trovarci davanti a 70 anni di storia. E’ stata una sensazione particolare per un mezzo che è la storia dell’off-road e della mobilità post bellica. Un mezzo che ci ha detto addio nel 2016 con un commiato fin troppo silenzioso, forse perché lungamente anticipato negli anni. Un’eventualità non più procrastinabile.
Le origini: la guerra e gli scarti

Terminata la seconda guerra mondiale, le industrie europee si trovano davanti la sfida della riconversione delle fabbriche e le mutate condizioni economiche e di vita delle persone. Se nei territori degli sconfitti ci si leccano le ferite, anche per gli alleati le cose non andavano molto bene. La Rover prima della guerra produceva automobili di alta gamma (con alterne fortune) e nel periodo bellico riforniva l’Inghilterra di motori per i propri aerei.
All’uscita dalla guerra, non era pensabile rientrare nella produzione di auto di lusso. Serviva praticità e bassi costi. E soprattutto Rover non aveva più la sua fabbrica a Coventry, distrutta dai bombardamenti. A tutto questo si sommavano le condizioni dell’Inghilterra in cui vigeva un pesante razionamento delle materie prime. Rover provò a creare una piccola utilitaria in una delle shadow factory ancora in piedi, ma i costi di produzione erano troppo alti e il bacino di utenza rischiava di essere troppo basso.

Maurice Wilks, capo del design Rover ebbe un’idea, forse la più semplice. Creare ciò che davvero serviva. Una motrice agricola! Con un caratteristica distintiva: la possibilità di ospitare passeggeri. Si prese il telaio di una Jeep Willys, e venne montato un motore Rover.
La carrozzeria, data la scarsità di acciaio disponibile venne creata con alluminio e magnesio. Per finire, per colorare il mezzo fu utilizzata la vernice avanzata dalla guerra, in particolare quella degli aerei militari. Per questo motivo tutta la prima produzione è di colori verde chiaro. Un mezzo costruito con gli scarti lasciati dalla guerra.
A queste strutture venne abbinata una presa di forza per collegare strumenti agricoli.
Si riuscì a creare un mezzo polivalente, un mezzo agricolo con la possibilità di trasportare passeggeri. Il detto latino “In medio stat virtus” descrive appieno questa piccola rivoluzione e il mezzo entrò in produzione con queste caratteristiche.
Un successo sorprendente

Foto di Pete Edgeler
Nelle intenzioni di Rover la produzione del Land Rover doveva durare un paio di anni. L’idea era di fare un po’ di “cash” per tornare alla produzione delle autovetture. La storia aveva un altro destino per il Land. Le ragioni del successo del mezzo erano insite nelle condizioni iniziali: come spesso accade, in condizioni di disagio, l’uomo crea il suo meglio. La semplicità costruttiva divenne riparabilità dei mezzi più semplice ed economica. La carrozzeria è composta principalmente di pannelli piatti o con curvature costanti, meno costosi da produrre. La carrozzeria in alluminio, è esente da ruggine. E nonostante nel tempo il prezzo dell’alluminio abbia superato quello dell’acciaio, la Land è sempre stata prodotta così.
La produzione viene avviata nel 1948. In un periodo di rinascita, il successo de Land Rover è sorprendente. Le vendite superano quelle di molte berline. Ed è importante notare che in origine il Land era un mezzo a solo uso commerciale. In Inghilterra questi mezzi usufruivano di una bassa tassazione rendendo appetibile l’acquisto. Era una descrizione che stava stretta al Land.
Il successo fece accrescere la richiesta di un mezzo che fosse più confortevole e meno spartano. Venne creata la versione Station Wagon, con 7 posti e interni (in legno) più curati. Questa nuova versione non sfuggì al governo Inglese che individuando l’uso privato del mezzo, modificò per questa versione il livello di tassazione. Questo bloccò in pratica lo sviluppo del modello, ponendo il dubbio che ci si trovasse davanti a un mezzo che usciva dai canoni del mezzo commerciale, per diventare qualcosa di diverso. I tempi erano maturi per la consacrazione del Land Rover come qualcosa di più che una motrice agricola. Senza considerare che i mezzi commerciali non potevano superare i 48Km/h!
All’inizio degli anni ’50 venne chiarito il doppio uso del Land Rover (immatricolazione sia commerciale che uso privato). Ormai era nata una stella.
Cambi di passo e denominazioni. 70 anni di storia

Immagine da Wikipedia
Potrebbe essere difficile distinguere le varie versioni di Land Rover. Di base il mezzo è rimasto quasi immutato. Ciò che nel tempo è quasi sempre cambiato è stato il passo, che nel tempo è cresciuto nelle versioni a “passo corto” dagli originari 80 pollici (circa 2 metri) fino a 90 pollici (circa 2,3 metri). Essendo questa misura l’elemento distintivo delle varie serie e versioni, si parla normalmente di Land Rover 80, Land Rover 86 e Land Rover 88 per distinguere le varie versioni in cui nel tempo si è articolata la produzione, che in realtà si compone di 3 serie principali, a cui si somma l’introduzione (nel 1990) della denominazione Defender, che Land Rover introdusse per distinguere i modelli di una gamma che nel tempo si era articolata in altri fortunati prodotti (Range Rover, Discovery, ecc).
Le innumerevoli modifiche ai motori, alle trasmissioni e al sistema 4×4 non sono mai andate di pari passo con la carrozzeria, che è rimasta grossomodo immutata per tutto il periodo di produzione decretandone la consacrazione come il più iconico dei fuoristrada. Inizialmente gli sportelli erano a filo con i finestrini (serie I) mentre dalla serie 2 in poi venne inserita la curvatura tra vetro laterale e sportello, vista la necessità di allargare le carreggiate e l’abitacolo. Tra la seconda e terza serie cambiò la disposizione dei fari anteriori, prima incassati a lato della mascherina, quindi spostati sui parafanghi anteriori.
Alle versioni a passo corto si unirono anche le versioni a passo lungo, (fino a 127 pollici, oltre 3,2 metri) aumentano la versatilità di un mezzo che non ha avuto eguali per capacità in fuoristrada, robustezza e praticità
I SUV, il lusso e la fine di un mito

Immagine di Davocano
L’esplosione del fenomeno SUV non ha intaccato il mito Land Rover che invece ha beneficiato a partire dalla metà degli anni 2000 di importanti modifiche atte a migliorare il confort del mezzo, rendendolo coerente con un mondo che era molto cambiato da quando il “mezzo agricolo” era stato concepito. Le strutture però, immutabili, rendevano certi adattamenti delle piccole divagazioni per un mezzo concepito in altri tempi e per altri scopi. Rimaneva l’efficacia fuoristrada, ma un mondo fatto di strade asfaltate e autostrade mal digeriva l’assetto offroad del Land Rover. Lo sterzo inoltre tradiva l’impostazione antiquata del mezzo, ormai divenuto un oggetto per specialisti.
La decisione di virare il brand Land Rover verso una clientela di segmento più alto (un ritorno alle aspirazioni dell’originario marchio Rover) portava il Land Rover, ormai noto come Defender, ad essere la mosca bianca della produzione inglese. Il progetto di sostituzione, promosso e annunciato fin dagli anni ’90 veniva però puntualmente posticipato, perché non esisteva un mezzo che fosse paragonabile per efficacia e versatilità in fuoristrada. Ormai, dopo annunci e smentite, sembrava davvero che il Defender fosse immortale.
E invece…il 29 gennaio del 2016 esce definitivamente di produzione. In questo articolo della BBC, la commozione della linea di montaggio all’uscita dell’ultimo esemplare: http://www.bbc.com/news/uk-england-35436741
Non viene sostituito da nessun modello. Si parla di un sostituto in produzione per il 2018, ma è chiaro che si tratterà di qualcosa di diverso, probabilmente con un nome diverso. Troppo difficile portarsi dietro così tanta storia.

Esperto informatico e CTO di un importante archivio fotografico, da sempre appassionato di auto classiche e fotografia ho avuto il privilegio di vedere i miei scatti pubblicati sulle principali testate di auto storiche, da Petrolicius a Ruoteclassiche.
Nel 2017 ho creato Ciclo Otto