Che la 24 Ore di le mans, gara che si avvicina in formissima alla sua centesima edizione, sia un mito universalmente riconosciuto credo sia fuori discussione.
Una gara iconica e leggendaria, spartiacque di carriere e vite “da corsa”, meravigliosa e crudele allo stesso tempo. Si tratta di una competizione che fa parte della storia del Motorsport dal 1923 e rappresenta una delle vittorie più belle da inserire nel palmares di un pilota, quasi fosse il master più importante da conseguire dopo una laurea in automobilismo.
Una gara che fonde in se tantissimi elementi, dalla sfida tecnologica tra marchi alla competizione tra piloti passando per la vita in campeggio del pubblico con tutto il micro-mondo che vi gravita
intorno, tenendo il pubblico incollato per una settimana intera.
Dalle prime verifiche tecniche il lunedì in Piazza dei Giacobini all'invasione di pista successiva al podio domenicale dopo 24h di corsa.
Mario Donnini: il cantore
E a chi potevamo chiedere lumi su tale epopea motoristica se non ad un fine conoscitore della
classica de La Sarthe? Abbiamo qui scomodato, per i nostri lettori, Mario Donnini, un nome che appartiene al gotha del giornalismo automobilistico italiano, innamorato cronico della gara in questione ed uno dei massimi esperti in materia.
Da anni una delle “penne” più conosciute e stimate di Autosprint, ove cura alcune tra le rubriche più indovinate ovvero “Cuore da corsa” e “Il bastian contrario” regalando sempre interessanti spunti di riflessione e facendoci emozionare con le storie di un mondo del motorsport che non c'è più.
A questa attività giornalistica ha affiancato, nel corso degli anni, una prolifica produzione di libri di altissima qualità su svariati ambiti del motorsport, raccontando sempre storie avvincenti e che attraggono una grande quantità di appassionati di ogni età, dal “nostalgico” degli anni d'oro al giovane che vuole scoprire pagine di storia dell'automobilismo che non ha potuto seguire in prima persona.
Partendo dal suo libro “24h di Le Mans: 24 ore di corsa 90 anni di storia”, pubblicato da Giorgio
Nada Editore nel 2013 ed ancora attualissimo, partiremo in un viaggio alla scoperta di questa gara
che, circondata da un pathos epico, è riuscito a raccontare in maniera emozionante e poetica, senza scivolare nel nostalgico rimpianto ma con uno sguardo al futuro.
L'intervista
Buongiorno Mario! Una domanda a freddo, facendo leva sul tuo istinto: che cosa è la 24h di
Le Mans?
Qualcuno dice sia la corsa più bella del mondo, di certo è una gara che, insieme a Indianapolis e al
Tourist Trophy, ti può cambiare la vita grazie alla vittoria o alla sola partecipazione. E' unica perché
a differenza delle altre si corre in equipaggio e non da soli. E' la gara più struggente ed epica perché
non caccia nessuno ma mette insieme il grande campione della F1 col panciuto commendatore che
corre con le GT, il dilettante col professionista, il campionissimo col gentlemen driver.
E' fortemente inclusiva come forse solo la Dakar riesce ad essere, ricordando però che la Dakar non può vantare la stessa tradizione quasi centenaria.
E per te cosa rappresenta la 24h di Le Mans?
Per quanto mi riguarda Le Mans significa due cose principali.
La prima è il film di Steve McQueen, con la sua atmosfera di silenzio, di attesa, il pigro scorrere dei prototipi che sfanalano alle GT da doppiare mentre la ruota panoramica gira.
Questo clima sospeso, il villaggio un po' triste che si aspetta non si sa cosa. Qualcuno che addirittura mostra le spalle alla pista, quasi avesse bisogno di chiudersi in sé stesso per godersi il connubio di odori e sensazioni.
La seconda è che la 24h è una gara terribilmente donna, concedendosi lascivamente ad alcuni, vedi
Kristensen, Pirro, Derek Bell e Jackie Ickx , ovviamente con merito, ma anche vantando il maggior
numero di piloti fortissimi che non sono mai riusciti a vincerla.
Si pensi a Schumacher con Mercedes e, sempre parlando della casa tedesca, della coppia più forte di sempre, ovvero Fangio-Moss, che non riuscirono a vincere pur avendo due giri di vantaggio a causa della tragedia di Pierre Levegh nel 1955. Se il destino dice che non vinci Le Mans, non la vinci… Pensa a Wollek, Redman, Siffert, Elford! I più grandi dell'endurance non hanno mai vinto Le Mans perchè non era destino mentre magari hanno vinto degli sconosciuti gentlemen driver!
Le Mans ti fa capire l'importanza del destino, quasi citando “L'ultimo Samurai”, in cui Tom Cruise dice che nella vita ognuno fa ciò che può fino a quando il destino non si rivela. Le Mans rivela il tuo destino come pilota!
Quale è stata la prima edizione che hai visto dal vivo? Meglio la prima da spettatore o da
“addetto ai lavori”?
In realtà una volta che sono lì non sono né l'uno né l'altro, non ho mai lavorato pur essendo pagato
per andare a Le Mans!
E' come essere un bimbo che visita una Disneyland per bambini cattivi.
La prima edizione a cui ho partecipato è quella del 1997, poi vi ho fatto ritorno più volte e nel 2012
ho assistito anche alla 24h riservata alle moto, quella che si svolge sul circuito Bugatti e non sul
lungo de La Sarthe. Lì mi sono reso conto del fascino della gara in tutte le sue versioni, coi suoi
100000 spettatori che intonavano la Marsigliese prima della partenza.
Può darsi che questo sia dovuto ad una cultura transalpina del motorsport, diversa da quella
del resto del mondo?
Sicuramente si percepisce una cultura diversa, magari è l'aria! Questo perché il francese, così come l'americano, ha una cultura “globale” dell'automobilismo e il pilota deve sapere fare di tutto, dai rally all'endurance, passando per la Dakar.
Non a caso Michel Vaillant è un mito tutto francese! Questo perché l'”inclusività” di Le Mans ha “ibridato” tutta la cultura motoristica francese creando una specie di “brodo primordiale” da cui si sono originati campioni e costruttori.
Da questo turbinio emotivo che suscita la gara viene da chiedersi: c'è ancora spazio per
l'emozione a Le Mans, anche in un mondo ipertecnologico come quello del motorsport
odierno?
Oramai il motorsport è come una vena aurifera, non è Fort Knox. Devi andare col setaccio e
cercare le pepite. Se in F1 di pepite ce ne sono poche, a Le Mans ve ne sono ancora molte, come del
resto alla Dakar, negli ovali americani e in altre categorie.
Questa metafora vale tantissimo anche nella mia professione, se cerchi le storie sopra le righe e belle da raccontare devi cercare col setaccio! Se ti accontenti di poco basta fare il fanboy del tale marchio o del tale pilota di F1 ma non avrai mai le stesse emozioni, se invece cerchi epopee all'interno di una tradizione quasi secolare e vai a Le Mans, sei nel posto giusto.
Prendi l'esempio di Jean Rondeau, pilota costruttore che si innamora della gara all'età di tre anni e decide che costruirà una macchina col suo nome per vincere a Le Mans con una sua vettura, riuscendoci 35 anni dopo. Per certi versi vale più una storia del genere che tutta la storia della F1 messa insieme! Le Mans racconta storie incredibili, tesse un ordito di vita che parla di chi vince e chi non ci riesce mai.
Prendi l'esempio di bob wollek, che la corre fino a 60 anni sapendo di non vincere ma insiste! E' una figura eroica e tragica allo stesso tempo, quasi più letteraria che agonistica! Si parla di storie di ossessioni, monomanie al confine tra l'appassionato e malato. E' una contaminazione ossessiva di una passione che ti pervade, che ti rovina ma allo stesso tempo ti orienta la vita. Ma che bello! In un mondo fatto di istinti primari e di paure, finalmente una passione!
Proprio quella di Bob Wollek è una storia che, leggendo il tuo libro, mi ha colpito tantissimo
fino a commuovermi, specialmente dopo il tragico epilogo e l'ingiusta colpa datagli per
l'incidente ad Arnage mentre si trovava in testa con la 911GT1 nel 1997. Una ingiustizia
sportiva che, come ci fai notare, passò quasi sotto traccia e addusse molto dolore al pilota,
bollato dal pubblico come bollito…
Pensa che una sera Wollek, parlando al telefono poco dopo la gara in questione, mi disse. “ Ti
confesserò una cosa ma non scriverla, perché rischio di essere preso in giro. Quando sono uscito di
pista, secondo me, sulla vettura si è bloccato qualcosa!”.
Quando anni dopo ho letto il libro di Norbert Singer, ingegnere capo della Porsche di allora, nel quale ammetteva la rottura del differenziale sull'auto di Bob, ho voluto fortemente fare un pezzo sull'accaduto assumendomi tutte le responsabilità, quasi fosse la mia scarica a salve coi cannoni per onorare l'eroe.
Ricollegandomi a questo discorso mi viene subito in mente la sconfitta clamorosa della Toyota del 2016, a cui ho assistito dagli spalti. Una sconfitta clamorosa in quanto dovuta ad un guasto avvenuto a quattro minuti dal termine dopo una gara dominata in lungo e in largo. Si può dire che, anche da spettatore, Le Mans ti può spezzare il cuore?
Prendiamo come esempio la storia di Toyota a Le Mans, tipica del romanticismo di questa
competizione, la quale per tre decadi ha provato a vincere fallendo e risultando al contempo
simpatica a tutti. Invece da quando ha cominciato a dominare ha stufato! Questo perché Le Mans
insegna che il corteggiamento e l'inseguimento della vittoria, meglio se infiniti, sono ciò che
appassiona.
La consumazione di questo rapporto, specie se reiterata, stufa. Pensa alle storie di Audi,
Peugeot e Porsche, nate come avvincenti sfide e finite per diventare noiosi monologhi.
La magia di questa gara si racconta in storie non troppo esagerate e forse l'unica eccezione, esempio di storia d'amore magica nonostante sia stata iper-reiterata, è quella di Jackie Ickx. “Monsieur Le Mans”(così viene definito), è stato, molto più di Kristensen, colui che sembrava vincere la gara da solo. Una sera, mentre cenavamo in Sicilia, mi ha detto: “Kristensen ha vinto le sue, ma io non farei mai a cambio con le mie vittorie, perché hanno un sapore che ritengo caro, anche se sono sfavorito dalla matematica”. E lo diceva senza alcuna acrimonia, anche perché si parla di epoche diverse e vetture totalmente differenti!
Io in realtà mi definisco un Ickxiano in quanto Ickx ha vinto con tutto e tutti, partendo dalla Ford GT40, passando dalla vittoria con la Mirage e poi legandosi all'epopea Porsche. A differenza sua, Kristensen ha vinto con la TWR Porsche di Joest nel 1997 ma poi legandosi con Audi è divenuto un po' l'Hamilton della 24h di Le Mans, e rispetto a Ickx aveva da battere solamente le vetture gemelle.
Secondo te, valutando i piloti storicamente importanti del mondo della F1, chi avrebbe potuto
fare la differenza a Le Mans? Mi viene in mente Senna per esempio…
Senna è un caso a parte, non ha fatto in tempo ad invecchiare e data la sua natura fortemente
individualista dubito che mal si sarebbe sposato con la 24h. Nella sua carriera ha fatto solo una gara endurance con Joest ai tempi della Toleman, dedicandosi unicamente alla F1 quando divenne pilota ufficiale Lotus.
A mio avviso chiunque corra in Formula 1 può fare benissimo a Le Mans, purtroppo però solo
pochi hanno avuto la cultura, l'umiltà o l'occasione di dedicarvisi seriamente.
Per tanti anni se correvi a Le Mans voleva dire che eri un pilota finito in F1! Inoltre la F1 ti fornisce un contratto in esclusiva per una stagione, al contrario della 24h che ti fornisce un ingaggio per una singola competizione, in una scuderia dove corrono più piloti e quindi con un ingaggio inferiore.
E questo senza valutare che la 24h è una gara ben più pericolosa di qualsiasi gran premio di F1!
Ultima nota, ma non per importanza: se a Le Mans non corri con una delle poche vetture che
potrebbero essere vincenti non vai da nessuna parte e questo rende la gara molto più esclusiva della F1!
Comunque tutti i grandi delle altre discipline hanno sempre fatto faville, vedi Loeb o Jacques
Villeneuve che nelle rispettive partecipazioni hanno sfiorato la vittoria assoluta, impressionando
pubblico e addetti ai lavori.
Conoscendoti e sapendo della tua passione per il Tourist Trophy e per la Dakar, sviluppata in
parallelo a quella per la 24h, si può dire che chi gareggia in tali manifestazione sia una
persona fuori dal comune?
Senza dubbio sono gare che in alcuni creano un aspetto di reciproca dipendenza e questo è molto
bello, proprio perché viviamo un'epoca dominata da circuiti tutti uguali, gare tutte uguali e categorie quasi identiche tra loro. In un mondo fatto di monomarca, Le Mans rappresenta il trionfo della diversità per costruttori, piloti e marchi per cui la si definisce una “classica”. Così come i greci
migliaia di anni fa hanno definito quasi tutto con la loro cultura letteraria e teatrale, allo stesso
tempo Le Mans riesce a definire tutto del motorsport.
Questo ha significato per molti piloti dare un senso ad una intera carriera, dato che alcuni di essi
hanno corso solo per poter essere a Le Mans, come altri a Indianapolis e altri ancora alla Dakar.
Per alcuni si parla di una vera dipendenza! Prendi ad esempio Henri Pescarolo con le sue 33
partecipazioni, intervistato dal sottoscritto disse “Non ho smesso, ho solamente interrotto”. Alla mia richiesta di delucidazioni al proposito rispose: “In un posto come Le Mans si ha sempre voglia di dire che esiste la possibilità di tornare, perché è un posto che può mancarti”. La trovo una bellissima spiegazione e ti fa capire come si parli di un posto dove, dai 18 ai 75 anni, si fanno carte false per debuttare ma anche per tornare.
Un luogo sospeso nel tempo che attrae post-adolescenti come gerontosauri per il semplice fatto che ti fa sentire meravigliosamente vivo!
Dulcis in fundo: progetti futuri? Cosa ci stai preparando?
Ho pronti per la pubblicazione due libri. Uno riguarda Mohamed Alì, nello specifico la parte finale
della sua carriera, che nessuno ha raccontato ed è stata evitata da tutti perchè ritenuta triste e brutta mentre io la ritengo la più poetica.
L'altro libro invece riguarda la storia della McLaren. Inoltre l'anno venturo il libro di cui stiamo
parlando avrà un seguito per il centenario della Le Mans e per il rientro della Ferrari nel 2023!
Allora a presto, il secondo volume meriterà indubbiamente una seconda intervista!
Nato in una notte del dicembre 1985 e fiorentino doc a tutti gli effetti, sin da piccolino si vedeva la mia forte passione per l'automobile, testimoniata dal fatto che prima ancora di parlare fluentemente deliziavo i miei genitori con i nomi delle auto viste e riconosciute sulle riviste del periodo! Ho vissuto un'infanzia felice scorrazzando con la citroen 2cv 6 Special rossa di mia madre e l'amatissima Ford Escort SW del 1994, auto di mio padre e da me fortemente desiderata al punto da sceglierne il colore!
Nel corso degli anni sono stato tra i fondatori del Knight Rider italia, fan club italiano della serie Supercar e sono divenuto assiduo frequentatore della 24h di Le Mans con una gang di amici impareggiabili. Sono anche motociclista da più di dieci anni, vi aspetto per un panino insieme sui passi dell'Appennino Tosco-Emiliano!