La crisi petrolifera dei primi anni '70 rappresenta per il mondo dell'automobile un vero spartiacque tra due ere.
La “crisi”, generata nel 1973 dalla Guerra del Kippur che contrappone Israele e la coalizione Egitto-Siria, vede aumentare vertiginosamente il prezzo del greggio per volere dei petrolieri arabi determinati a condizionare gli Stati ritenuti filo-israeliani. Un comportamento che genererà una reazione a catena inarrestabile, con gravi ripercussioni anche dopo il termine del conflitto.

Così l'italiano medio scopre l'austerity, le domeniche a piedi ed altre conseguenze di stampo globale che lasciano un segno indelebile nel mondo dell'automotive.
Lo stretto legame del mondo dell'automobile con i combustibili fossili rivela l'estrema fragilità di un settore strettamente legato ai consumi. Un tema spinoso ancora oggi, specialmente in tempi di transizioni ecologiche, con i media che cercano quotidianamente di convincerci della bontà dell'”elettrico”, mentre il prezzo degli idrocarburi raggiunge valori astronomici.
La soluzione attualmente più valida e facilmente percorribile è quella di adottare powertrain ibridi, i quali coniugano la “maturità” di un propulsore alimentato a benzina con la spinta, e conseguente riduzione di consumi, di un sistema a batteria.

La paternità di tale tecnologia è spesso attribuita a Toyota, marchio che per primo al mondo ha avuto il coraggio di produrla in grande serie introducendo sul mercato la Prius nel 1997 e facendone fortune produttive e di marketing.
Non a caso il nome Prius deriva dal latino e significa primo o prima, a seconda lo si consideri come avverbio o aggettivo, a rimarcare come Toyota abbia industrializzato per prima tale soluzione.

I Giapponesi in realtà non sono stati gli unici a sperimentare questo sistema di propulsione. In Italia, in tempi non sospetti, due delle più grandi realtà automobilistiche, allora concorrenti, creavano i propri prototipi elettrificati: fiat e Alfa Romeo.
fiat 131 ibrida: l'unica della specie
In Italia, subito dopo il 1973, vengono realizzati vari studi nel tentativo di affrancarsi dalla schiavitù nei confronti del petrolio. In particolare, il gruppo FIAT reagisce in maniera veemente alla crisi energetica e vaglia varie soluzioni di mobilità che non siano legate a carburanti fossili.
Sfiora l'avvio in produzione la piccola X1/23, utilitaria elettrica molto avanzata che abbiamo potuto vedere alla fiera di Padova nel 2021 al padiglione di FCA HERITAGE.
Alla fine la tecnologia del modello non è sufficientemente sviluppata per essere un'alternativa credibile nei primi anni '70 e l'auto viene accantonata.

Se ne riparlerà con Panda e Cinquecento Elettra, al debutto nei primi anni 90.
Due vetture che, nonostante la buona accoglienza da parte di media e pubblico, si scontrarono inevitabilmente con le limitazioni tecnologiche dell'epoca e il proibitivo costo d'acquisto
Al debutto la Panda Elettra (costruita in 2 serie dal 1990 al 1998) costa come 3 Panda con motore a combustione interna.
La tecnologia full-electric non era certamente un'opzione percorribile a fine anni 70, periodo in cui il Centro Ricerche Fiat (CRF) inizia a sperimentare soluzioni di propulsione alternative, da abbinare al motore termico.
Nasce così la fiat 131 Ibrida, modello presentato a Detroit nel 1979 ed esteticamente identico alla coeva 131 Mirafiori, già sul mercato dal 1974.

La meccanica della 131 Ibrida realizzata dal CRF è basata sul classico motore Fiat 100 in versione 903cc (già in uso sulla Fiat 127). Il propulsore viene depotenziato a 33cv e associato a un motore elettrico alimentato da 12 batterie da 250A.

Si tratta di un sistema definito come “ibrido in parallelo”, col propulsore collegato al differenziale da un rapporto in presa diretta 1:1, senza cambio.
In sostituzione della frizione si opta per un convertitore di coppia da 8″‘ seguito dall'albero di trasmissione, avente calettato il rotore del motore elettrico.
Proprio il convertitore di coppia rappresenterà uno dei talloni d'Achille del progetto.
Alfa 33 Ibrida: le origini di un progetto all'avanguardia
In Alfa Romeo all'inizio degli anni '80 si deve rinnovare quasi a costo zero la gamma che inizia a risentire del peso degli anni. Nonostante il potenziale tecnico ancora notevole, l'azienda paga l'immobilismo della gestione finanziaria dell'IRI.
In tale contesto industriale si sviluppano ricerche sul tema della riduzione dei consumi. Uno dei primi risultati è lo sviluppo del CEM, acronimo di “Controllo Elettronico Motore”.
Sviluppato in collaborazione con l'università di Genova a partire dal 1976, questo sistema si avvale di una centralina da “ben” 6kb che gestisce il motore e la sua erogazione. Nella sua prima applicazione viene installato sul mitico bialbero 2 litri. Il sistema CEM è addirittura in grado di disattivare due dei quattro cilindri del motore Alfa nell'ottica del contenimento dei consumi.

I test su strada avvengono grazie a una decina di tassisti milanesi che fanno da “cavie” con delle Alfetta equipaggiate col suddetto sistema. Questi sono incaricati di testare la vettura nel traffico cittadino, particolarmente gravoso e quindi terreno ideale per il funzionamento “dimezzato” del propulsore, e di riferirne gli sviluppi alla casa madre.
L'auto raggiunge anche la produzione in serie. Sono 994 Alfetta CEM prodotte, vendute solo a una clientela selezionatissima.
Queste vetture sono oggi ricercatissime e di grande valore. Il sistema viene utilizzato anche sulla successiva Alfa 90, accoppiato al motore v6 “Busso” in configurazione 2 litri.
A meta degli anni '80 il “Progetto Finalizzato Trasporti” del CNR stanzia finanziamenti ad Alfa Romeo e Ansaldo con l'obiettivo di sviluppare una vettura a trazione ibrida per il trasporto pubblico urbano. Nuovamente, l'idea iniziale è di creare una piccola flotta da destinare ai tassisti, ormai “tester” fidati della casa di Arese.
Stavolta ci si basa su una vettura moderna e affidabile come l'Alfa 33, sul mercato dal 1983 e derivata meccanicamente dall'Alfasud, della quale riprende pianale e motori.

Nello specifico la scelta ricade sulla 33 in versione Giardinetta, per motivi legati al maggior spazio disponibile per alloggiare l'equipaggiamento. Il propulsore selezionato è il boxer 1.5, equipaggiato col CEM, oltre ad essere associato a un motore elettrico e a numero variabile di batterie.
A livello tecnico ogni propulsore presenta una frizione elettromagnetica all'uscita dell'albero motore con calettata una puleggia. A loro volta le pulegge sono unite da una cinghia dentata e una terza frizione, stavolta meccanica, unisce tutto al cambio realizzando un collegamento in parallelo dei due sistemi di propulsione.
Su strada con la 131 ibrida: come un'automatica ma senza fretta

Al volante della Fiat 131 ibrida risalta subito come questa non riesca a partire utilizzando solo una delle due modalità. A causa delle scelte progettuali queste lavorano sempre in sincrono, difatti per il tipo di trasmissione utilizzata la partenza da fermo solo con motore termico sarebbe equivalente alla partenza in IV marcia con un normale cambio manuale.
Si rende pertanto necessario l'utilizzo del propulsore elettrico per lo spunto da fermo e in marcia sino ai 50 km/h. Le curve di coppia sono perciò inverse: l'elettrico raggiunge la massima coppia allo spunto calando con la velocità, al contrario del termico.

Mentre gli studi fatti al calcolatore ipotizzano un consumo maggiore del 7%, alla fine si ottiene una riduzione compresa tra il 22 e il 30%, ottenibile ottimizzando il sistema.
La vettura raggiunge i 122km/h di velocità massima e percorre il chilometro da fermo in 42.1 secondi, contro i 157km/h e i 37.8 secondi della 131 1.6 a benzina. I risultati sono il frutto della ridotta potenza disponibile e del notevole peso delle batterie al piombo, che gravano per ben 175kg sul bagagliaio della vettura Torinese. Numeri che si fanno sentire specialmente in fase di accelerazione.

Nonostante il fondamentale apporto della frenata di recupero, che rinvia alle batterie parte dell'energia generata in decelerazione, gran parte degli sforzi derivati dalla getsione dell'energia vengono neutralizzati dal convertitore ci coppia che assorbe circa il 10% della potenza del motore termico.

Dalle testimonianze dell'epoca risulta una vettura facile, dal funzionamento simile a un'automatica, fluida e anche abbastanza briosa nonostante le limitazioni di un progetto ancora acerbo.
Alfa 33 Ibrida su strada: il primo “cuore sportivo” alla spina
L'Alfa 33 ibrida viene sviluppata in tre prototipi differenti per soluzioni tecniche ed equipaggiamento. Il primo viene dotato di una macchina elettrica Mavilor a magneti permanenti alimentata in corrente continua, munita di 12 batterie Gates al piombo da 35Ah cadauna, per un totale di 140V circa. Del secondo prototipo non ci sono giunte notizie ma appare ovvio come fosse “di transizione” per arrivare al successivo step, quasi pronto per la produzione.

Il terzo prototipo è quello testato dalla stampa nel 1988. Adotta un propulsore elettrico Ansaldo trifase da 11kW accoppiato a 80 batterie Varta al Nichel Cadmio per complessivi 100V.

L'equipaggiamento aggiuntivo richiede un aggravio di peso di circa 150kg e consente alla vettura tre differenti modalità di funzionamento. Infatti normalmente la vettura si comporta da ibrida, ovvero partendo in modalità elettrica per poi inserire il motore termico sopra i 40 km/h. Si può viaggiare esclusivamente col motore termico o in modalità full electric sino ai 60km/h e con una autonomia di circa 5 km.

Le prestazioni non sono affatto male, in quanto si sfiorano i 140km/h con il motore limitato a 4500 giri/min per evitare danneggiamenti durante la sperimentazione. Viene da ipotizzare che se si fosse continuato lo sviluppo la vettura avrebbe mostrato una verve degna del marchio.
Si opta per l'uso di un cambio manuale e ne risulta un funzionamento lineare, con l'inserzione del propulsore termico che avviene sempre in modo graduale e mai brusco.

Da notare che il prototipo riesce a superare pendenze del 16% esclusivamente in modalità elettrica, la stessa che può essere utilizzata singolarmente in retromarcia.
E' prevista la ricarica delle batterie anche con una normale presa di corrente domestica, modalità che viene consigliata solo in casi di emergenza.
La riduzione di consumi è valutata attorno al 25% e quella degli inquinanti del 40%, grazie alla frenata a recupero di energia e alla ricarica delle batterie per trascinamento della macchina elettrica da parte del motore termico.
Inutile dire che vi erano ancora molte migliorie previste, dall'adozione di un cambio automatico alla riduzione degli ingombri del powertrain elettrico. La storia però ci racconta un'altra storia.
L'ennesima occasione sprecata?
“Del senno di poi ne son piene le fosse”, diceva Alessandro Manzoni, però in questo caso il retrogusto di occasione sprecata si fa molto forte.
Si tratta di una spiacevole tradizione “nostrana” e accomuna entrambi i marchi. Ripercorrendone la storia a ritroso vi sono casi eclatanti che spaziano dall'Alfa tipo 103 al common rail made in Fiat . E si finisce sempre per parlare di innovazioni straordinarie quasi regalate alla concorrenza, forse per poca attitudine al rischio o per congiunture negative.
Osservando le sperimentazioni delle ibride Italiane degli anni 70-80 ci si rende conto di come, specialmente nel caso della 33 ibrida, si fosse potenzialmente vicini a una industrializzazione.
Come riprova basti guardare come funziona oggi una qualunque auto full-hybrid sul mercato per trovare delle assonanze con tale progetto. Addirittura ci si può spingere ad un confronto con una ibrida plug-in, vista la possibilità di ricaricare le batterie dalla rete elettrica.

Purtroppo l'acquisizione della casa del Biscione da parte del gruppo Fiat, avvenuta nel 1986, ha portato a nuove priorità e all'accantonamento dei prototipi creati. Il fatto che il motore ibrido sia tuttora esposto al Museo Storico Alfa Romeo fa capire che il potenziale c'era e ci si credeva veramente, considerato che la casa di Arese ha sempre fatto della tecnologia avanzata un vanto.

Il progetto torinese della 131 ibrida forse è quello che più si è rivelato come un mero esercizio tecnologico. Già allora si sottolineava come si fosse nel campo della ricerche e che tale vettura non avrebbe visto la luce prima di dieci anni.
Il modello ha raggiunto uno stadio poco più che embrionale nel suo sviluppo, che se proseguito avrebbe potuto portato a sicure evoluzioni e miglioramenti prestazionali.
Resta il fatto che, mentre la 500X e Tonale ibride vengono svelate alla stampa di settore con grande enfasi, si è probabilmente gettato alle ortiche un vantaggio tecnologico quantificabile in 10-15 anni. Visto cosa è stata in grado di costruire Toyota, magari staremmo parlando di un presente differente per le due gloriose case italiane.
E voi l'avreste comprata una 131 ibrida o una 33 ibrida?
Si ringraziano per la gentile collaborazione Paolo Degregori e il Centro Storico Fiat, pazienti e prodighi di informazioni e materiale utile alla stesura di questo articolo.

Nato in una notte del dicembre 1985 e fiorentino doc a tutti gli effetti, sin da piccolino si vedeva la mia forte passione per l'automobile, testimoniata dal fatto che prima ancora di parlare fluentemente deliziavo i miei genitori con i nomi delle auto viste e riconosciute sulle riviste del periodo! Ho vissuto un'infanzia felice scorrazzando con la Citroen 2CV 6 Special rossa di mia madre e l'amatissima ford Escort SW del 1994, auto di mio padre e da me fortemente desiderata al punto da sceglierne il colore!
Nel corso degli anni sono stato tra i fondatori del Knight Rider Italia, fan club italiano della serie Supercar e sono divenuto assiduo frequentatore della 24h di Le Mans con una gang di amici impareggiabili. Sono anche motociclista da più di dieci anni, vi aspetto per un panino insieme sui passi dell'Appennino Tosco-Emiliano!